Da: La poesia delle Marche

Il Novecento

a cura di Guido Garufi

Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata

 

Un’isola di poesia nel cuore dell’Italia”

Carlo Bo 

 

 .... “ Autori tutti riconoscibili e già ampiamente storiografati e se, come ha sostenuto Bo, “ la storia ha saltato le Marche e così ha salvato la vita della poesia”, tale fertile stallo che si impernia sulla “leggenda di Recanati” (Fortini) e sul “mito di Leopardi” (Lonardi) ha sostenuto l’esodo e la diaspora all’inizio del Novecento: in qualche modo seguirono le orme di quel grande “pendolare” e “viatore” che fu Giacomo e fuggirono dalla Marca Betti, Bigiaretti, Bartolini,    De Bosis, Scipione, fino a Volponi e Giuliani, mentre altri, della generazione degli anni Venti-Trenta, “stazionarono” o comunque replicarono quella pendolarità: ci si riferisce a scrittori come Di Ruscio, Matacotta, Ferretti, Mancino, Malfaiera.

 

Ma è partendo dalla metà degli anni Quaranta che la “svolta” comincia a prendere corpo, si compie e pienamente si realizza proprio a Urbino che rimane il “centro» o “motore immobile” di attività plurime, in parte “irradiate” dallo stesso ateneo che vide la presenza di Ungaretti, Luzi, Leone Traverso e quindi Vittorini e Montale, Gadda, Parronchi, Rebora, Gatto, Sinisgalli, Gianna Manzini e Tommaso Landolfi e non ultimo Pier Paolo Pasolini. Queste “presenze” che si traducevano in una lettura dal vivo degli auctores e che dunque influenzarono non poco la possibilità di un vivace sedimento e l’instaurarsi di un impegno indiretto nel campo della poesia, non fosse altro per la eco o comunque per un indiscutibile “effetto alone”, sono accompagnate nel territorio più specialistico dalla riflessione e ricerca operata da un gruppo di linguisti, presieduto da Bo e diretto da Giuseppe Paioni intorno al Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica.

 

Questo Istituto che ha prodotto fin dall’anno della sua fondazione (metà anni ‘60) una serie foltissima di convegni ha indubbiamente stimolato (nel comitato scientifico appaiono Barthes, Lotman, Segre, Greimas, Braudel, Levi-Strauss e la “sommità” del dibattito internazionale) un interesse specifico nel settore della analisi della critica testuale: l’autorevolezza delle presenze gradualmente e, si direbbe, “riflessivamente”, favorì un avvicinamento alle ragioni “anche” endogene della “forma” poetica suscitando un interesse meno empatico ma più vicino alle (per quei tempi) inedite “interpretazioni” delle nuove correnti ermeneutiche europee: a questo impegno fa riscontro il lavoro nel campo dell’esegesi biblica e della teologia di Italo Mancini, con varie implicazioni anche di ordine estetico e letterario.1

 

E’ Urbino, allora, che ha rivestito il ruolo fondamentale di “promozione indiretta” e di dibattito preparando, fin dalla prima metà del secolo, un vero e proprio “indotto” che poi si è rivelato piuttosto consistente e folto rispetto all’area centro sud della regione che troverà la sua “presenza”e la sua riconoscibilità solo più tardi, e a partire quasi dai tre quarti di secolo.

 

Se dunque la “rivoluzione” e la discesa in campo dei “residenti” si verifica dopo il secondo conflitto mondiale, saranno Urbino e il “suo” Rettore a risvegliare quanto giaceva sotto la cenere: meglio ancora si può sostenere che la “condizione preliminare” è costituita da una serie abbastanza capillare di rapporti e di dinamismi piuttosto interni che poi, dal Montefeltro, si dipanarono in tutta la regione. Si può paradossalmente osservare che l’effetto Urbino ha compensato l’assenza di un grande editore o comunque la mancanza — per tutto il Novecento — di una robusta e convincente “politica della comunicazione” (nelle Marche, a conti fatti, esile e carente è stata quella che si chiama “industria culturale”, con tutto ciò che comporta, in negativo, per quanto attiene al fatto letterario e al suo dinamismo, anche se forte, quasi per opposizione, è stato il modello della piccola impresa indirizzata tuttavia ad altri ‘“prodotti”).

 

Convegni, summit, readings alla fine degli anni Settanta, sempre ad Urbino, riuscirono a “proporre” (e forse a “creare”) il “problema della poesia” nelle Marche attraverso l’impegno e la cura di Umberto Piersanti, sin dal ‘77 con il Primo Festiva! Internazionale di Poesia e quindi nel ‘78 con la Mostra della poesia visiva concreta e sonora, nel 1980 con Del pubblicare poesia oggi in Italia, nel 1981 con un dibattito nazionale sul rapporto tra Poesia e Filosofia.

 

I “residenti” iniziarono a convergere prima ad Urbino e quindi a Fano (1982) dove, sempre ad opera di Piersanti e di Fabio Doplicher, si attivò il Centro Internazionale di Poesia della Metamorfosi che organizzò per un lungo periodo incontri internazionali con la partecipazione di poeti spagnoli, americani, francesi, inglesi e, guardando ad est, sovietici e rumeni, insieme a letture anche dislocate e itineranti lungo l’entroterra pesarese tutte confluite in corpose antologie.

 

Di qui la nascita di quelle “nuove”riviste sopra segnalate che tuttavia nella città ducale, a riprova di quanto sostenuto, trovano due interessanti antecedenti negli anni ‘60 e poco più oltre: “Ad libitum”, di area marxista, con una grande attenzione al tema della “autonomia” dell’arte, pensata e ideata da Gualtiero   De Santi, Umberto Piersanti e Luciano Fabi e inoltre “Il Leopardi” di estrazione cattolica fondato da Valerio Volpini, Fabio Ciceroni e Gastone Mosci (cfr. seconda sezione).

 

E dunque, scendendo dal nord (siamo agli inizi del 1980), si forma ad Ancona ad opera di Franco Scataglini il gruppo di “Residenza” che “pensa” e “riflette” sul tema dell’abitare nella nostra regione, sugli apporti fertili del «risiedere” sulla relazione tra lingua della poesia e lingua della (propria) dimora con felici integrazioni antropologiche, analitiche e fenomenologiche di ambito heideggeriano, con una particolare attenzione allo studio della “lingua dialettale”, integrato da letture e seminari: facevano parte di questo “convivio” oltre a Scataglini, Gianni D’Elia, Francesco Scarabicchi e Massimo Raffaeli (cfr. seconda sezione): insieme danno vita ad appuntamenti e letture con Luzi, Volponi, Porta, Raboni, Caproni dentro un quadro di programmazione denominato Ancona-Poesia. Questa attività si sviluppa anche in trasmissioni presso la sede regionale RAI, proseguendo la tradizionale ospitalità che la testata aveva riservato fin dagli anni ‘60, a partire dalle trasmissioni e rubriche curate da Volpini e Antognini (cfr. seconda sezione).

 

Nello stesso periodo, a Macerata, Guido Garufi, Mauro Perugini e Remo Pagnanelli (morto nel 1987) e Fortunato Damiano organizzano altre letture e due convegni nazionali I luoghi della poesia: la scrittura «tra» invenzione e significato (1980) e Linee e tendenze della poesia italiana nel secondo dopoguerra (1981) con Mussapi, Scalia, Bellezza, Baudino, Magrelli, Guidacci ed altri sulla linea di ricerca di una griglia critica e storiografica.

 

I poeti “residenti” (da Martellini a Piersanti, da Mancino a De Signoribus, da D’Ella a Scarabicchi, da Garufi a Pagnanelli, da Gabriele Ghiandoni a Neuro Bonifazi fino a Marco Ferri, da Feliciano Paoli a Filippo Davoli) mostrano, pur nel diverso orientamento formale e ideologico che accomuna la generazione “attiva” dopo lo spartiacque del ‘68, quei caratteri che abbiamo provvisoriamente disegnato, non abbandonando la sostanza classica che hanno ereditato dagli scrittori del protonovecento.’2

 

Se le Marche sono quella “regione al plurale” che da ogni parte si ripete per definirne la fertile diversità e la polivalenza delle davvero “diverse” municipalità e se sono, come indica lo stesso termine, una “regione di confine” o “di frontiera” dalla quale molti poeti sono partiti per poi farne ritorno, l’attività letteraria di questo secolo sembra ridare forza alla lezione di Leopardi la cui genesi va ricercata nello sforzo di una encomiabile (e appartata) lettura della propria Biblioteca e del mondo, e nella fiducia che la scrittura generi quella “educazione sentimentale”, l’unica che sembra apparire ad una analisi dei testi dei “nostri” autori che sanno calibrare la velocità del mondo e dell’eccesso con quella che ho voluto chiamare conservazione attiva del senso e del messaggio, che è poi la custodia e il segreto più vero della leggibilità e della memoria di ogni autentica parola poetica.

 

 

ANNA MALFAIERA.

 

Anna Malfaiera (Fabriano 1926-1997) fin dal primo libro, Fermo davanzale (1961) di carattere colloquiante e monologista, mostra una disposizione ad un linguaggio vicino agli esiti rondisti: polito, argomentante, ma indirizzato, come accade a Bacchelli, all’estrema riduzione dell’interlocutore a favore di una descrittività pronta a “registrare” e oggettivare non solo una condizione ma soprattutto un “contesto” una “situazione” che viene, per così dire, assorbita e riflessa da una abilissima (e naturale) eleganza formale tanto da consentire una particolare distanza e una sicura manipolazione dell’elemento “emotivo” che rimane in parte circoscritto e limitato.

 

E in questo ci sembra già risiedere la “rivoluzione” della Malfaiera rispetto alle prove (anche nelle Marche di quegli anni) di autori sì “autentici” ma tanto (sia consentita la parentesi un po’ volutamente ironica un po’ crudemente realistica) da offrire una cascata di lamentazioni di timbro particolarmente soggettivo e deludente.

 

Da questa prospettiva dentro la quale si insinuano esiti di tinta anche ermetica (fascino dell’io che domanda, interrogazione anch’essa però parca) la Malfaiera pubblica nel ‘67 Vantaggio privato, una raccolta che è il medium delle successive perché in essa si compie con maggiore intensità quel lavoro di “sottrazione” e recisione degli “orpelli” che costituiscono, di solito, l’abito o la cornice del Poeta (e naturalmente della sua “retorica”, persino sociale).

 

Si rinuncia ora al “canto” a favore di una più sicura impostazione della voce e della discorsività (stando ben ferma la supposta eredità del davanzale “rondista”). Si può dire che l’esperimento, difficile e pericoloso o quanto meno estraneo al “mercato” delle suggestioni editoriali e critiche riesce pienamente: “Non può esserci questa caparbietà di andare / di fretta far più presto fare di prepotenza / nella direzione visibile che gli sfoghi quotidiani / nutrono e divorano” (Non può esserci solo questa caparbietà da ll vantaggio privato).

 

La strumentazione che Giuliani nella terza raccolta, Verso l’imperfetto (1984), ha chiamato “atonale” continua in modo ancora più coerente lasciando sedimentare una prosa che non nega un suo ritmo interno, anzi lo “inventa” e lo trova nella sequenza ininterrotta e nella distensione e allungamento capaci di levigare le impennate foniche, gli addensamenti stridenti tanto da costruire — sempre Giuliani — una poetica “petrosa” e priva di incanto: “Ben disposta con gli oggetti in ordine / i libri il giradischi una bevanda / la casa silenziosa l’azione rimandata/ le cellule di una anatomia dimessa.” (Ben disposta da Verso l’imperfetto).

 

Non meraviglia, allora, che nell’apparenza dimessa e nel carattere “referenziale” della lingua la Malfaiera con e intanto dire (1991) confermi la sua volontà di resistenza e di forza nella “atonalità” intesa come rivoluzione e indice etico nei confronti del verso cantabile e “simbolista”.

 

A tal proposito si può aggiungere che l’evitamento della cantabilità (corrispondente per analogia ad un abbassamento del tono epico e del «racconto” con la sua discesa a ritroso e il rientro della “memoria”) si verifica anche grazie ad un sistema di ordine tautologico:

in genere l’oggetto è definito e “mancano” i contorni e le aggettivazioni, si sottrae la colorazione argomentativa quando viene incluso un evento sul quale riflettere. «Il luogo che mi trattiene più / non mi rassicura non mi protegge/ non mi ristora soffre con me / la sproporzione degli avvenimenti / soffoca i rapporti vagheggiati / poi intristiti da indecisione animosità / insonnia sperde l’identità dei segni / accatastati con tutti gli oggetti” (Il luogo che mi trattiene da e intanto dire). Attiva e ferma sulle sue scelte di “resistenza” persino stilistica, con Il più considerevole (1993) che porta una notizia di Gramigna, si raggiunge un esito che “già” sembrava implicito: immettere nella linearità della dizione isole di maggiore percussività (anche fonica) e “riflettere” in modo più diretto (ed “emotivo”) sul ruolo della scrittura, su se stessa, sulla condizione marginale della poesia, quasi, in alcune parti, deviando in “confessione” e non rinunciando a clausole definitorie e gnomiche: “Proprietà non sempre garantita il corpo / dissimula scorie inganni malafede. La sua resa/ sdegna leggende chimere ornamenti emblemi / incaute tentazioni canali indifferenti / nel percorso di corsi d’acqua stagnanti/ scoli. Non muteranno gli eventi dolorosi/ né la durezza dei volti tesi diffidenti” (Proprietà non sempre da Il più considerevole).

 

Grazie alla particolare scorrevolezza (e quasi fluvialità) la poesia della Malfaiera si impone per la sua autorevole coscienza linguistica mai cedendo a conati intellettualistici e (di converso) a superficiali “profondità” impressionistiche; lo fa con orgoglio e chiara riconoscibilità poetica e morale.

 

 

1 Va inoltre menzionata la ottocentesca Accademia di Belle Arti e l’Istituto per la decorazione del libro. Entrambi non hanno avuto una parte secondaria rispetto alla produzione letteraria. Anzi si può affermare che proprio la scuola del libro può aver stimolato e sviluppato quel clima di “impegno tipografico» molto consistente nell’area urbinate e pesarese; le stamperie con le proprie edizioni litografiche e serigrafiche hanno prodotto, fin dall’inizio del secolo, una folta messe di plaquettes, quaderni, in genere paso doble, dove si coniugavano gli alfabeti dei poeti e dei pittori. Un repertorio analitico di questa importante presenza è citato nella bibliografia generale.

 

 

 

2 In qualche modo una verifica della ripresa dell’attività letteraria nelle Marche, o comunque un indice di vitalità oggettiva rispetto al “silenzio” del primo cinquantennio, è data dalla non esigua presenza di numerosi premi letterari estesi in quasi tutta la regione e databili, orientativamente, dal ‘60 in poi. Se ne indicano alcuni fra i più significativi: Premio nazionale “Riviera delle Palme” di San Benedetto ideato da Carlo Bo, attualmente presieduto da Corrado Augias, interessante per il settore relativo al libro economico o “tascabile”; il “Frontino-Montefeltro”, anch’esso ideato da Bo circa sedici anni or sono; il premio “Ugo Betti” di Camerino; il “Matacotta” di Ascoli Piceno; il “Metauro”, itinerante nella zona della comunità montana di Urbania; il “Pantalin” di Carrara di Fano e il “Sibilla Aleramo” di Civitanova Marche.

 

 

 

Anna Malfaiera

da Fermo davanzale

 

Paese schivo ai contatti

 

Paese schivo ai contatti.

Un odore di stagno tra le case,

le polverose ciglia degli infissi,

le canne e le querce senza fronde.

Le strade lo raggirano muto,

i prati spenti di coltura

e il verde domestico sogno.

Pare che muoia ora

ed è già morto, né lo destano più

le fumate sotto l’alba di cenere,

niente più si raccoglie in queste vigne

che la brina contorce.

Va il contadino senza voglia

e non appare altro uccello dopo l’ombra

discesa sul greto a pascolo del gregge.

 

Tutto va via. Anche il tempo

sanguigno urla d’asprezza, cresce,

ingiuria l’abitato chiuso.

Penso quella conchiglia

che a riva attende vuota

il turbamento del mare riscoperto

a notte nel rumore lontano,

Seguo così un cammino

senza alcun luogo vero,

sono disegnata figura fissa

alle strade d’ottobre limaccioso.

 

 

da Verso l’imperfetto

 

[Siamo la polizia segreta potete]

 

Siamo la polizia segreta potete

stare tranquilli non accade nulla che noi

non sappiamo se qualcuno afferma

diversamente vuol dire che tenta la prova

del bugiardo e questo vuoi dire che dovremo

correggerlo e quando noi lo avremo fatto

diremo che è uno di cui non ci occuperemo più.

 

[Non serve sapere i motivi inquieti]

 

Non serve sapere i motivi inquieti

o se vale tentare il gioco degli artifici

della sostituzione di quel che importa

nell’indugio che non permette

di graduare valori. La mente ricompone

le cause che al punto in cui siamo

ridotti abbiamo smesso di considerare.

Un’improvvisa filtrazione ci fa dire

di sì che l’evidenza non ha bisogno

di aggiunte. E’ comunicativa

sensoriale o fredda la sua natura

carica di spietata disattenzione?

 

E che ci accada in modo eccezionale]

 

Che ci accada in modo eccezionale

gonfi di malumore nel modo di fare

nelle parole nella distinzione

di ciò che importa per denigrare

la malafede con efficacia con prove certe.

da E intanto dire

 

[Disposta ad indugiare cauta mi trovo avvolta]

 

Disposta ad indugiare cauta mi trovo avvolta

dal torpore che il gioco delle parole

incastra nel cervello nella pelle nelle membra

tutte nelle capsule dei denti in apparenza

insensibili privilegiate in oro. Dispongo

la strategia dell’affaccendarsi quella

curiosa necessaria complicazione dell’esistere

deperibile ma tenace. Un sarcasmo mistificato

supera la resistenza dell’espormi — resiste

il mio inconscio desiderio di tragedia.

Soppeso la mancanza di norme d’incentivi

per quanto si compone. Assediata dai luoghi

comuni faccio parte dei riti inamovibili.

 

[La pioggia fa vetrata non più anonima]

 

La pioggia fa vetrata non più anonima

quando insiste a battere sul vetro opaco

indifferente ai petali che straccia

dai gerani rossi del balcone. Considero

che questo è un giorno d’autunno inoltrato

sfioro gli oggetti devo liberarmi

dei giornali ammassati devo visitare

i libri comperati e mai letti mi limito

al dovere sociale d’informarmi non so

se più tardi il cielo tornerà sereno

se l’aria si farà più fresca se le mani

geleranno senza guanti non so se riuscirò

a carpire la parte di vita che mi spetta

nel pertugio di luce che appena si fa avanti

tra le nubi. E la pioggia che traspare.

 

Ora che la pioggia è cessata si addensano

le voci il suono del telefono il campanello

alla porta i richiami degli uccelli i loro voli

lo sciacquio delle pozzanghere smosse dalle ruote

veloci. Si prosciugano i tetti i rami le radici

ingobbite dei marciapiedi si liberano parole

e dialogando gustano il cielo terso che

ha disperso lontano inciampi oscurità.

 

Si spande incontrollato il potere della luce

sulla superficie delle cose. Non su di me.

 

[L’indigena nell’isola sperduta corre]

 

L’indigena nell’isola sperduta corre

avanti all’orizzonte sconfinato nell’immensità

non valutabile all’occhio sprovveduto

emerge all’improvviso si fa strada a fatica

tra boscaglie foreste attraversa stagni

acquitrini a malapena evita cascate rapide

la spaventano prossimi e lontani serpenti

flessuosi felini d’ogni specie e altro

smarrita avanza — si pensa — verso la spiaggia

affamata lacera inseguita da un bruto o da bruti

incredibili d’aspetto cinici feroci.

E il punto a fuoco della storia l’intrigo

centrale prima che lo stronchi un calcolato

inserto pubblicitario donne in altre vesti

levigate profumate disposte in pose trasversali

orizzontali verticali sorridenti ai commenti

ugualmente limpidi omogenei controllati

da solido mestiere. Il sonno si modella sulla specie

consacrata al pianeta pubblicitario specie

che si affretta al recupero del sonno dissestato.

 

Da Il più considerevole

 

[Leggero persistente mi piace il segno]

 

Leggero persistente mi piace il segno

che s’impone tra tanti libero. Mi piace

quando aggregato cosciente produce

la cosa pensata scritta. Azione

in senso straordinario in armonia

con le intenzioni calco e suono

il segno incede s’inoltra si combina

recede o vaga incerto. Mia meta

quotidiana avanti indietro rigetto

dell’aldiquà dell’aldilà investita

dagli utensili dal cibo dalla polpa

del frutto marcito. Mio riscontro

io e il segno che emerge autonomo.

Mi stupisce se origina e sopravanza

una risoluzione ragionata mi riduce

se appena si evidenzia un soffio contrario

lo scombina Io consegna al vuoto fantasma

invariato sibilo lacerante lacerato.

 

[Confermo debolezze e privazioni]

 

Confermo debolezze e privazioni

come mie attitudini appaganti.

Così aggrumato il sangue non fluisce.

Contengo nell’ombra la quantità

di rifiuto che convoglia le ultime

energie da dispensare avaramente

non voglio mostrare il solitario

orgoglio che altri potrebbero

confondere compatire. Sono all’opera

battute d’un sarcasmo irrisolto

ristagno del maleodorante pantano.

 

[C’è aria di rinuncia c’è aria di chiusura]

 

C’è aria di rinuncia c’è aria di chiusura

c’è aria di aldilà. Mi è negata la speranza

di esiti favorevoli i progetti da sempre

si ritraggono chiudendomi la porta in faccia.

L’avvenire di schiena in direzione opposta

conferma il negativo prodotto dai contrasti

ostacoli urti tensioni un tutto assommato

in cui impigliata non ho trovato scampo.

Sgobba non indugiare affrettati provvedi

sarà piuttosto duro tocca a te sei forte tu.

Ed io a mostrare zelo voglia di predisporre

pensavo per il meglio. Dedizioni sacrifici

comprensione rabbia l’avventura no per difetto

di capacità cognizioni competenze attitudini.

Carichi fardelli affanni prove di forza

mai a riprendere fiato. Energie sprecate.

In un angolo finalmente arresa mi avvolge

l’eco — Molla tutto. Ormai resti d’impaccio.

 

[Non trattengo la rabbia che da tempo voleva]

 

Non trattengo la rabbia che da tempo voleva

esplodere restituisco temeraria il poco

forse il nulla di quanto mi ha sopraffatto

a lungo e pure offeso fino a rendermi

cosciente in eccesso del mio rivolgimento.

Pronto l’istinto si arroventa attacca

di colpo fuori di sé proteso ingordo.

 

[Differenze di natura in una assortita]

 

Differenze di natura in una assortita

collocazione. Percorrono in lungo e in largo

flussi d’intolleranza di disperazione.

Sembra vano appellarsi a pratiche associative

a ordini legittimati alle relazioni di scambio

subentrano autorità azioni repressive

imposizioni forte debole congiunzione.

 

 

ANNA MALFAIERA

Anna Malfaiera è nata a Fabriano nel 1926 ed è morta nel 1997. Ha vissuto e lavorato per molti anni a Roma. La sua attività letteraria si è espressa principalmente in poesia. Ha collaborato a varie riviste letterarie, ha partecipato a letture e a varie manifestazioni culturali. Sue poesie sono apparse su molte antologie. 1l suo incontro con il teatro è avvenuto nel corso degli anni 1987-1989.

Sue opere sono: Fermo davanzale, Padova, Rebellato, 1961; Il vantaggio privato, Caltanissetta, Sciascia, 1967, 1970; Lo stato d’emergenza, a cura di E. VILLA, con disegni di V. TRUBBIANI, Macerata, La nuova foglio, 1971; Verso l’imperfetto, a cura di A. SPATOLA Mulino di Bazzano, Tam tam, 1984; e intanto dire, a cura cli M. LUNETTA, Roma, Il Ventaglio, 1991; 27, rue De Fleurus con una nota critica di M. LUNETTA, Roma, Il Ventaglio, 1992; Il più considerevole, con una nota critica di G. GRAMIGNA, Verona, Ed. Anterum, 1993.