PER ANNA MALFAIERA

 

di Maria Jatosti

 

Vogliamo oggi rendere omaggio ad una grande amica, a una poetessa, una scrittrice importante, la cui voce si è arrestata dieci anni fa. Ma il cui ricordo insieme con la sua poesia restano vivissimi nel nostro cuore.

Nella scrittura di Anna sono presenti diversi livelli di linguaggio. Il testo poetico è tipicamente strutturato in blocchi, quasi dei monologhi drammatici. In effetti, nella sua poesia antilirica, Anna usa un linguaggio dotato di una carica estremamente personale e innovativa. Per esempio, quasi tutti i suoi componimenti prescindono dalla punteggiatura (una cosa che accomuna Anna Malfaiera a Gertrude Stein, la scrittrice che odiava le virgole, a cui Anna ha dedicato un suo testo teatrale: 27, rue de Fleurus). Fatta eccezione per il punto fermo; i versi di Anna giocano con le cesure, creando scansioni interne che danno al testo un ritmo assolutamente originale.

A parte questo, Anna Malfaiera sembra assiduamente impegnata in una battaglia tra la “rivelazione” della poesia, che resta comunque misteriosa e inspiegabile, e il bisogno di razionalizzarne la voce in un evento preciso, in un gesto che quasi scolpisca la costante elusività dell’esperienza, che è anche l’esperienza del linguaggio. Ciò emerge in tutta evidenza dalla poesia che apre l’ultima raccolta, Il più considerevole:

 

Leggero persistente mi piace il segno

che s’impone tra tanti libero. Mi piace

quando aggregato cosciente produce

la cosa pensata scritta. Azione

in senso straordinario in armonia

con le intenzioni calco e suono

il segno incede s’inoltra si combina

recede o vaga incerto. Mia meta

quotidiana avanti indietro rigetto

dell’aldiqua dell’aldilà investita

dagli utensili dal cibo dalla polpa

del frutto marcito. Mio riscontro

io e il segno che emerge autonomo.

Mi stupisce se origina e sopravanza

una risoluzione ragionata mi riduce

se appena si evidenzia un soffio contrario

lo scombina lo consegna al vuoto fantasma

invariato sibilo lacerante lacerato.

 

Nella poesia di Anna è presente la dimensione teatrale del linguaggio. In essa si può percepire un dialogo aperto tra le varie parti dell’io e l’ipotetico spettatore/ascoltatore/lettore. Ma oltre ai numerosi volumi di versi, Anna Malfaiera ha scritto alcuni testi per il teatro. Si tratta di opere concepite per il palcoscenico, il che implica un rapporto e una funzione diversi della parola scritta. Oltre al già citato 27. Rue de Fleurus, c’è L’ultima Carmen, che sentirete fra poco nella interpretazione di Tonino Amendola e Giuliana Adezio anche lei come me grande amica di Anna, e L’ultima signora delle camelie, Marguerite Gautier. Carmen è un testo molto forte non soltanto dal punto di vista dello stile ma anche per il modo originale in cui Anna tratta il mito dell’eroina. Inoltre, in tutti e tre i lavori i personaggi sono solo femminili, mitiche figure della vita e della letteratura. Gertrude Stein è una figura leggendaria, un’intellettuale di spicco nella vita parigina dei primi decenni del secolo. Carmen e Marguerite rappresentano miti creati dalla fantasia e dall’immaginario maschili che Anna reinterpreta in chiave direi semplicisticamente femminista..

Tornando alla poesia: in effetti, è nella rappresentazione che la poesia di Anna raggiunge gli esiti più alti, essendo peculiarmente lontanissima dal sottovoce ed evocando stati d’animo che vanno ben oltre la pagina, pur essendo controllati dall’autocoscienza e dalla consapevolezza del linguaggio. Quel suo linguaggio, per dirla con Giulia Niccolai, “tagliente come una spada di Samurai”.

Tra le varie raccolte di Anna E intanto dire è quella che personalmente preferisco, che mi sembra più compatta, più omogenea. In essa mi colpiscono il livello metapoetico e metalinguistico. la riflessione sulla funzione del linguaggio verbale in rapporto all’ interpretazione del mondo e il fatto che venga preso in considerazione l’atto stesso dello scrivere, ma al fine di affermarlo, senza la pretesa di spiegarlo in termini esclusivamente razionali. L’atto dello scrivere qui diventa, o rappresenta, l’esperienza creativa in se stessa, un processo non completamente spiegabile, neppure per il poeta..

 

Non ho mai saputo perché mi ostino a scrivere.

Determinata. Mai rinunciare correggermi

migliorare.

(...)

Amo la tregua dello scrivere non considero

le ragioni che lo provocano. Non ho veri

strumenti. Soppeso lo stupore che mi causano

le regole e i loro artifici. Stupore

che coinvolge il mio essere imprevista.

Una pratica che non so definire se di fède

o fìnzione. Pudore è farsene gioco.

Un equivoco l’indagare. Meglio non sostare

riflettere non presagire e intanto dire.

 

Che poi è il testo riportato in parte sull’invito.

Ma non era questo che volevo dire di Anna. In realtà io volevo dire quanto mi manca . Al di là del suo valore letterario che apprezzo sempre di più col trascorrere degli anni e delle generazioni poetiche. Quanto mi manca lei, Anna, come amica, punto di riferimento. di confronto. Lei, col suo carattere orgoglioso e schivo, gentile e brusco, riservato e appassionato, delicato e spinoso. Il suo amore per la pittura, i suoi acquarelli, e la sua passione esclusiva per il jazz. (Era gelosissima dei suoi dischi. Dove saranno finiti i suoi vecchi Coltrane, i suoi Miles Davies. . . ?). Volevo dire quanto mi manca la sua intransigenza, la sua severità di giudizio che era consapevolezza del proprio valore e del valore della letteratura in un mondo così fatuo ed effimero. Questo volevo dire. Volevo dirti.

Ciao Anna. Noi non ti dimentichiamo.

 

 

Biblioteca Universitaria Alessandrina, Roma, 14 marzo 2007