G. Niccolai

Rivista Differentia 1986

 

Per inquadrare Anna Malfaiera nella poesia italiana di quest’ultimo quarto di secolo va subito detto che l’autrice è uno di quegli straordinariarnente riusciti esempi di un fenomeno unico e isolato.

 

Quasi ogni generazione poetica italiana ha il suo “fenomeno unico e isolato” di cui l’establishment si accorge poi con grande ritardo e con ossequiosa riverenza (tipicamente italiani) e che maldestramente celano profondi sensi di colpa...Anche ora, nella generazione dei settantenni, spiccano Emilio Villa ed Edoardo Cacciatore, veri maestri conosciuti solo dagli addetti ai lavori ma raramente presenti nelle antologie poetiche e ignoti ai più o va detto anche che, essendo Anna Malfaiera esempio di fenomeno unico e isolato al femminile, il suo caso è ancora pii’i sorprendente, anomalo e come tale simbolico e ottimista.

 

Anna Malfaiera nasce a Fabriano nel ‘26, studia presso la Facoltà di Magistero di Urbino, inizia a dipingere poi cambia strada e publica i suoi primi testi poetici su Letteratura a vent’anni. Il suo primo libro, Fermo davanzale (scritto tra i diciotto e i ventiquattro anni) esce da Rebellato nel 1961.

 

La data, nel panorama della poesia italiana, è importante. In quello stesso anno esce da Rusconi e Paolazzi l’antologia dei Novissimi comprendente cinque poeti: Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Porta, Sanguineti che con l’etichetta di neo—avanguardia, imprimeranno una nuova rotta alle “patrie lettere”, finalmente aperte alle avanguardie storiche dopo gli anni di autarchia, di provincialismo e di isolazionismo dovuti al ventennio fascista e al primo dopo-guerra. (Vi furono in Italia grandi poeti anche durante il fascismo, ma si contano sulle dita di una mano.

 

Comunque, già. in Fermo davanzale Anna Malfaiera dimostra di essersi saputa liberare di tutti i vizi (le sdolcinature ottocentesche il confessionalismo i “buoni sentimenti” e il lirismo falso e consolatorio che inquinavano la poesia di quegli anni.

 

Il suo come quello dei Novissimi è finalmente un linguaggio contemporaneo.

 

Non preso a prestito e scimmiottato dal passato. Prima ai soffermarmi e di approfondire il discorso su Fermo davanzale, mi sembra importante nominare i titoli di tutti i suoi libri, perchè, nel caso di Anna Malfaiera, proprio i titoli o anche i titoli sono rivelatori di una costanza nel procedere, sono come anelli di una catena che precorre il tempo.

 

Vedremo come.

 

Già Fermo davanzale si trova in un verso dello stesso libro:

“Abita il sole sulle finestre/dell’olivo inclinato/e l’orizzonte è un’acerba parola/che mi sfugge e treccia si fa il silenzio/una sorgente del cielo aperto/e risospinto al fermo davanzale/è il moto d’erba e d’alta malva e il giunco.

 

Il titolo del secondo volume di versi pubblicato da Salvatore Sciascia nel 1967 (seconda edizione 1970), è Il vantaggio privato (che pure si trova in una poesia del volume stesso), ma questo stesso libro già contiene anche il titolo del prossimo in una delle ultime poesie: Lo stato d’emergenza (La Nuova Foglio Editore, 1971) che a sua volta incorpora il titolo dell’ultimo volume: Verso l’imperfetto (Tan Tam, 1984).

 

Possiamo dire che il “fermo davanzale”, per metafora è l’autrice stessa di fronte alla quale il tempo (le quattro stagioni) si susseguono e la natura muta.

 

Lei, immobile, ancora radicata nella provincia, osserva ciò che si muove attorno:

 "Mi dovrò persuadere ad aspettare”,

 ma già possiede una profonda conoscenza di sè: 

 “Ho nel cuore tutti gli elementi/e mi addoloro se una voce manca/ad ogni mio risveglio” 

 e sa anche che :

 “Lasciata la mia casa mi sentirò nel vento”.

 Il “vento” è qui come nei tre versi della pagina che segue, non solo premonizione ma precisa figurazione di come in futuro si esplicherà la sua poetica:

 “Tornerà presto il vento/più veloce della nostalgia/ più rapido del regno fantasioso”.

 Un’ultima citazione significativa da questo primo volume di versi:

 “lo vorrei discendere da razza/senza emblemi,essere solo animale/ nella sorte,/solo intervallo, rogo/che non sa i suoi mali e solo brucia.”

 

Va subito detto che Fermo davanzale, è il solo libro di Anna Malfaiera nei cui versi ci siano immagini e colori, da Il vantaggio privato in poi ella sceglierà” la strada del tutto inamena della ‘tenace, prolungata, insistente dichiarazione concettuale, senza concedersi un momento di riposo, un indugio descrittivo e psicologico, o anche uno sfogo apertamente polemico, uno scatto d’ira”1

 

Il “vento” allora e quel “io vorrei discendere da razza/senza emblemi...’ sono dichiarazione di poetica, impegno a inseguire (attraverso procedimenti paratattici)”una dura realtà concettuale, che pare astratta ed è invece il senso concreto del tuo esitere2.

 

Il vantaggio privato (1967) è suddiviso in tre sezioni: 1, La prova dei giorni (composta di sette lunghi poemi, quanti sono i giorni della settimana); 2 In fase di costatazione, 3, In fase di contestazione.

 

E’ indispensabile leggere per intero la poesia che contiene in sé il titolo del volume per capire di quale sarcasmo esso sia impregnato:

 

“Un luogo dove immaginare/che il resto della vita sia sorpresa/dove la pazienza estrema può interrompersi/contro l’adesione pletorica/ contro chi l’accetta/contro il vantaggio privato/contro il ristagno di sfiducia/rischiando di espatriare dalla terra.”

 

Le poesie di questo volume, pubblicate nel ‘67 sono naturalmente state scritte in anni precedenti, nel ‘63, ‘64 ecc. (gli anni del boom economico, per intenderci del Bengodi irresponsabile consumistico...) ed è importante notare qui come “In fase di contestazione” (il titolo dell’ultima sezione) precorra i tempi del movimento studentesco del ‘68 (detto appunto di “contestazione”) e di quanto è poi accaduto in questo paese...

 

Segue poi Lo stato d’emergenza (1971)

(“le ideologie si sostengono una all’altra/in tempo di ingiustizia insaziabile"),

che è come un campanello d’allarme, qualcosa che va detto prima che sia “troppo tardi”...(e qui di nuovo non possiamo che rifarci a quanto è accaduto in Italia negli anni ‘70.

 

Infine, Verso l’imperfetto (1984), un testo ancora più razionale e concentrato dei precedenti, è come un filtrato di consapevolezza: prima d’ora non era dato di vedere l’abisso verso il male ci stiamo tutti muovendo... ora ce l’abbiamo sotto gli occhi, dal bordo guardiamo in giù cercando di non cadere.

 

Ecco come i titoli dei libri di Anna Malfaiera sono anelli di una catena che corrispondono a tappe interiori di consapevolezza e precorrono i tempi!

 

La sua poesia (che è come un incessante lavoro di scavo della propria e dell’altrui prende corpo in una sorta di dialogo mentale tra l’Io e il Sé con intonazioni che possono variare dalla constatazione, il reciproco consigliarsi, l’auscultare (del medico sul paziente) e, splendidamente biblica e liberatoria, l’invettiva.

 

L’aspetto sorprendente è che è quasi impossibile rintracciarvi momenti di pessimismo o di ottimismo, disperazione o pietas ironia.o sarcasmo impennate in cui l’autrice si sveli e si mostri. Il suo, come ha scritto Berberi Squarotti è “il piacere sempre teso e, nel fondo, inquieto, del gioco intellettuale”.

 

Il che è come dire che l’autrice si lascia stritolare nell’ingranaggio del linguaggio perché solo così è libera di pensare e di vedere le cose come stanno. Questa consapevolezza è la sola che le impedisca di venire alienata.

 

L’Io dialogante (con il sé) non è mai in primo piano e non è nemmeno “visibile”; infatti è presente come conseguenza, è condizionato dall’esterno, da qualcosa che lo costringe ad esserci.

 

Una metafora che ci sembra calzare è quella del pedinatore e del pedinato (l’Io e il Sé).

 

Dialettica e sofista il compito che la Malfaiera si è prefisso è quello di chiarire ogni ombra, di non lasciare insoluto alcun dubbio.

 

E’ da lì che, con un procedimento paratattico, l’autrice costruisce.

 

Ma dentro di noi questa costruzione a blocchi di scrittura compatta, non la vediamo alzarsi verticalmente come un muro; al contrario, ne sentiamo l’espandersi orizzontale ed è come se il lettore, portato in alto dalla tensione del linguaggio, riuscisse a decifrare nel loro insieme e in tutta la loro planimetria quei giganteschi disegni precolombiani che si trovano sui monti e sugli altopiani del Perù.

 

Ho già detto che l’autrice è un caso unico e isolato. Lo è anche nel senso in cui è impossibile individuare tra i poeti italiani del passato o tra i moderni, dei suoi ascendenti formali.

 

Paradossalmente (ma non sono la sola a dirlo), Anna Malfaiera non è una poetessa italiana...

 

E’ come se, solo ricorrendo allo Zen o al Tao si riuscisse a spiegare “lo sforzo che tanta decisione di chiarificazione concettuale oggi, nello stato di corrosione degli strumenti logici della tradizione, costa, quella fatica che il periodare prolungato, il verso fortemente ritmato nei suoi spazi ampi e lenti, rendono adeguatamente: è insomma, la trascrizione ottenuta nella parola non tanto di un implesso di concetti quanto della formazione difficile e lunga di quell’intenzione di concettualizzare ogni cosa, posizioni morali come impulsi sentimentali, situazioni nella società come incontri, esperienze”3.

 

Visivamente sulla pagine le poesie appaiono come blocchi compatti di scrittura, privi di punteggiatura (se non per il punto fermo) e di “a capo”.

 

I versi, endecasillabi, di tredici e più sillabe all'interno dello stesso poema, hanno quasi tutti il medesimo respiro e spesso si risolvono per cesura nel verso seguente formando un groviglio strettissimo di rime interne e di condensazioni di concetti che il lettore per dipanare deve leggere piu' volte.

 

Il verso o i versi iniziali dei poemi (ma sarebbe più appropriato dire quasi sempre “d’attacco”) sono quasi sempre folgoranti, lapidari, inequivocabili.

 

Vibrano di tensione linguistica, di sorprendente chiarezza ed è come se l’autrice desse una forte accelerata iniziale per mettere in moto il meccanicismo del suo ragionare filosofico.

 

Altrettanto sorprendenti e definitivi sono solitamente i versi di chiusura e qui l’immagine che viene alla mente è quella della spada di un Samurai che si abbassa...

 

Ogni poema poi ha un suo inequivocabile ritmo interno che, come in musica, è quello più appropriato per dire quella determinata cosa.

 

Lo stesso valga per l’oggettivazione, il rapporto tra l’Io e il linguaggio:

 

se devi oggettivare, lo fai per chiarire, per chiarificare, per dire quella determinata cosa nel modo migliore: “con esasperante buon senso" anche buon senso” (scrive di sé Anna Malfaeiera in un poema), ma, anche Una resistenza inamovibile è il titolo di una raccolta di sue poesie apparse su Letteratura...con il titolo "Quando stabiliamo di convalidare un rapporto con qualcuno4.

 

Vorrei ora citare alcuni versi di apertura da poemi tratti da Il vantaggio privato, alcuni versi di chiusura e due poesie per intero prima di parlare più a fondo dei suoi due ultimi libri.

 

“Non mi curo nemmeno del vago senso/della parola felicità l’ultimo rammarico perde/di significato irrimediabilmente.”

 

“....è utile sapere se non è troppo tardi per provvedere.” “La dura costatazione un angolo visivo/in cui le speranze si arrendono immediate.”

 

“In mezzo a tante necessità conta chi ne possiede/ di più e le soddisfa a più caro prezzo/ quelle che avanzano/sono per chi ha meno pretese se avanzano.”

 

“ con esasperante buon senso/concluso ogni abbozzo di giudizio/ogni discordanza delle cellule di recezione uguale.”

 

Poesia

 

“Nel neutro dell’appartenenza come se fossi/contenta del gusto di quotidiane soluzioni/per uguagliare un fatto umano per raggiungerlo/ in qualifiche e offerte per essere qui/sul terrazzo per spostare oggetti sul tavolo/per infilare le calze le scarpe gli indumenti/ e poi uscire senza scelta di luogo/per raggiungere altri a disagio come me/che parlano di sè per non essere esclusi/si può accennare un si va a cena oppure/al cinema e giustificarci insieme/di una troppo

sommaria rappresentazione”.

 

Ricordiamo nuovamente i titoli delle sezioni de Il vantaggio privato:

 

La prova dei giorni, In fase di costatazione, In fase di contestazione.

 

Questa poesia è tratta dalla seconda sezione:

 

In fase di costatazione ed è impensabile il fatto di riuscire a prendere il linguaggio più alla lettera di così...

 

Se quanto l’autrice dice è di una disperazione quasi intollerabile, pure, nel tono del poema persino la disperazione è imbrigliata in pura costatazione.

 

Sta al lettore disperarsi se ha capito!!

 

Questa poesia ci permette anche di sottolineare il ritmo interno del linguaggio di Anna Malfaiera, quanto ella riesce d ottenere con la semplice ripetizione del "per" e la mancanza di punteggiatura...

 

La costatazione qui non è legata e circoscritta a un Io (che si lamenta) il testo, attraverso il perfetto equilibrio del linguaggio diventa un dito puntato, un dito che indica e mostra la nostra comune nevrosi, l’alienazione di noi tutti. Assume insomma una dimensione universale.

 

La terza poesia di In fase di contestazione (l'ultima sezione del libro) racchiude in sé il titolo della prossima raccolta:

 

Lo stato di emergenza e vogliamo citarla per intero senza nemmeno commentarla (perché ci sembra talmente superfluo il farlo...), per il piacere di farla leggere ai lettori e perché sia il testo stesso a chiarire quanto abbiamo cercato di dire fin' ora.

 

“Troppo presto all’inganno prepariamo il sorriso/troppo presto impariamo ad essere ignobili./Non rimproverateci la nostra inettitudine/sarebbe anche la vostra con l’aggiunta di colpa/poiché malamente ci guidaste./Niente è più mostruoso della minaccia/di una distruzione sconsiderata/di una umanità solo in piccola parte illuminata/che non dispone di sé/che non prevale in atti volonterosi/di un merito durevole./Per noi è lo scempio la violenza/lo stato d'emergenza gli ordigni/ di cui non conosciamo che l’uso distruttore.”

 

Se vogliamo prendere ora in esame gli ultimi due libri di Anna Malfaiera Lo stato di emergenza (1971) e Verso l’imperfetto (1984) e iniziamo col confrontare tra loro le dieci poesie del primo e le settanta del secondo, ciò che notiamo è una sottile ma profonda differenza di tono.

 

Ho già avuto modo di dire che sin da Fermo davanzale del lontano l961 (e della sua giovinezza) l’autrice dimostra di conoscere se stessa e si presenta “completa", perfettamente equilibrata nello stile, addirittura profetica per quanto riguarda l’evoluzione della propria creatività.

 

Già da Il vantaggio privato immagini, colori e persino metafore scompaiono dai versi la cui misura essenziale diventa la sentenza.

 

“Che si allinea compatta, seguita subito da altre sentenze ugualmente scandite, col compito di determinare una sorta di scala ascendente che ha l’andamento necessitante della dimostrazione, e intende proporre prima che l’assenso razionale, l’accettazione per la forza impressiva dell’accumulazione”.

 

Vorrei aggiungere, se ancora ce ne fosse bisogno, che queste sentenze non sono mai”sentenziose”, così come, pur essendo un’autrice profondamente “morale”, Anna Malfaiera non cade mai nella trappola del moralismo o della didattica.

 

Insegnante lei stessa, è come se la didattica la conoscesse tanto a fondo da sapere che ogni volta essa va applicata a ogni caso in modo diverso.

 

Dunque, coglie sempre nel segno e mai nei suoi versi qualcosa suona detto come da una cattedra, dall’alto, nè da qualcuno che si sente investito del diritto di imporla, la didattica.

 

Me se ne Lo stato di emergenza il tono della scrittura è ancora dialettico, aperto in un dialogo tra 1’Io (narrante)e il Tu a cui si rivolge, in Verso l’imperfetto assistiamo a un ulteriore giro di vite, a un linguaggio ancora più raggelante da giudizio senza appello ( un 1inguaggio che ricorda le frecce che centrano il bersaglio) e in cui assistiamo nei momenti più intensi all'unificazione tra l’Io e il Sé.

 

In una splendida e liberatoria invettiva di Lo stato di emergenza non è difficile risentire il timbro di un furore biblico che ha del mitico e del grandioso:

 

“Va’ all’inferno tu e tu e tu e tu/tu con lei tu con lui e tu con l’altro/e l’altra e anche tu va’ all’inferno/ e tu tu e tu tu tu tu tu tu/ e ancora tu e tu e sempre tu/nel medesimo modo quando che sia/e la ripetizione dell’atto e delle parola/e la ridondanza di tutti i criteri/ immutabili di comprensione e giudizio.”

 

A questa poesia vorrei contrapporre un altra tratta da Verso l’imperfetto:

 

“Siamo la polizia segreta, potete/ stare tranquillamente non accade nulla che noi/non sappiamo se qualcuno afferma/diversamente vuol dire che tenta la prova/del bugiardo e questo vuol dire che dovremo/correggerlo e quando noi lo avremo fatto/diremo che è uno di cui non ci occuperemo più”.

 

Dopo aver tessuto la sua tela geometrica e perfetta con un linguaggio preciso, paziente e costruttivo, ecco che è il linguaggio stesso che cattura e mostra la pochezza, la vulnerabilità delle sue vittime sventate.

 

Un ultima poesia da Lo stato d’emergenza da cui ho già citato un verso:

 

“Così è meglio così non equivoco/non garantisco di rendere cosa la cosa/pongo la mia dipendenza al panico degli atti/ comuni il mio rovescio autopunitivo/finche' io viva sarò offesa da tutto/fino a chiedermi se non è il vuoto una forma/elevata di coscienza al punto in cui/le ideologie si sostengono una all’altra/in tempo di ingiustizia insaziabile”.

 

Ed è forse superfluo aggiungere che proprio un altro verso di questa poesia (“se non è il vuoto una forma elevata di coscienza”), mi ha dato la sensazione di essere nel giusto dopo che già con Il Vantaggio privato avevo avuto l’intuizione dello Zen (o dì uno stato di meditazione orientale) nell’equilibrio interiore che pervade la poesia di Anna Malfaiera.

 

Anche le settanta poesie di Verso l’imperfetto sono suddivise in sezioni (quattro) che però questa volta sono prive di titolo e contrassegnate da una semplice pagina bianca con asterisco.

 

Si tratta infatti di quattro momenti di un continuum, un lungo e scrupoloso viaggio nel Sé, un processo di individuazione verso l’inconscio della vita psicologica cosciente che varia solo per l’intensità del tono.

 

I primi componenti sono più cauti e pacati, lievemente ironici o malinconici:

 

l’Io e il Sé si stanno auscultando...

 

Nella seconda sezione le due figure astratte del dialogo interiore si fanno più dappresso si rivolgono una all’altra con maggiore familiarità, si stuzzicano e si rimproverano per poi imporsi, unite e inscindibili, investite nei ruoli di Teti e di Kemesis nella terza sezione di cui cito per intero un poema meraviglioso:

 

“Lavora lavora e guardati intorno/ guarda il macchinoso corredo/che ci viene trasmesso guarda/quale gente si ritiene che conti/il repertorio dei profitti i comodi/ riferimenti l’atroce cronaca guarda/chi nella vita ha lavorato duramente./Se accerti che tutto il disponibile/è scadente le azioni volenterose/saranno sempre meno.

 

Eppure/se un movimento spregiudicato usando/la magia raggiungesse l’impensabile allora/sarebbero vani i terni dello scoraggiamento/va’ a elencare le componenti del rifiuto/come si mantiene i suoi precedenti...”

 

E dopo che solitudine e sofferenza hanno dato sufficiente forza per ottenere l’unione vittoriosa e magica dell’Io e del sé della terza sezione, ecco che nella quarta si tirano le somme del lungo cammino percorso, ricomincia l’introspezione e come un mandala la macina ricomincia a girare.

 

Giulia Niccolai

(Vedere Differentia)

1 Barberi Squarotti- Letteratura n. 93 Maggio Giugno 1968

2 Giuliani - La Repubblica - 13 luglio 1984 (De Luca editio)

3 Barberi Squarotti

 4 Letteratura n. 78 Novembre Dicembre 1965