Intervista di Paola Pepe ad Anna Malfaiera

Approdi di un itinerario poetico

In "Fermenti",  1994, N. 1

 

 

D — Che cos’è la poesia?

R — La poesia è pensiero che si fa, si articola, si contraddice. Manifesta

le tensioni dell’io attraverso il linguaggio che accerta e trasmette quanto sente.

 

D — Possiamo definirla, in ultima analisi, “ineffabile”?

R — È ineffabile in quanto fuori di sé, configurata nel pensiero.

 

D — Che cos’è dal tuo punto di vista il “bello” in arte?

R — Certa critica ufficiale considera il “bello” come concetto di poesia

accattivante, dimenticando gli inevitabili caratteri di scompenso conseguenti

ai mutamenti concettuali e linguistici del tempo, della cultura di appartenenza,

delle istanze innumerevoli da selezionare.

 

D — Esiste una poesia al “femminile”?

R — Essendo anagraficamente donna non posso che affermare la mia

identità al femminile. Mi ritengo donna che scrive poesia, energia di donna

al sostegno del procedimento poetico, possibile con l’apporto di quanto è

preesistente.

 

D — In che modo potresti definire la tua poesia “impegnata”?

R — La ricerca poetica non dovrebbe avvalersi degli elementi intellettualistici introdotti dall’esterno, ma manifestarsi come attiva coscienza che il poeta ha della sua necessità espressiva, momento concreto di confluenza dei problemi vitali, centro di molteplici sollecitazioni che dall’ambiente storico - sociale risalgono alla sua personalità.

 

D — Quali sono i punti dì contatto con lo sperimentalismo materialistico-allegorico?

R — Come ricerca personale mi sembra di aver tenuto conto di quanto è avvenuto nella situazione letteraria contemporanea. Non ho condotto una sperimentazione in quanto tale poiché ritengo che la ricerca linguistica e la sperimentazione dovrebbero coincidere in uguale misura. Le affinità del mio lavoro con la poesìa materialistica-allegorica esistono nei motivi stessi che lo compongono: motivi opposti verso ciò che è owio, banale, verso il semplicismo lirico, la storia addomesticata ai propri fini, il compiacimento estetico. Mi ritrovo in parte nella dissoluzione delle forme fisse tradizionali ripetibili.

 

D — In che modo accogli nella tua sperimentazione letteraria i concetti di “tendenza”, “progetto”, “allegoria”?

R — I vari concetti che compongono l’azione poetica hanno la loro realtà logica nell’intelletto e presuppongono la conoscenza sensibile. La contraddizione stabilisce la tensione, la sua carica vitale spinge al fare che non è al momento accertabile nel suo significato.

 

D — In che modo è possibile parlare di autonomia e autosufficienza del “fare letterario”?

R — Il linguaggio è una forma di adempimento della necessità, le parole servono a rendere le idee. Il poeta dà il suo contributo alla conoscenza del mondo con la sua rappresentazione soggettiva, dispone della parola come possibilità espressiva e come veicolo personale.

 

D — Quali sono gli autori della letteratura italiana del ‘900 che hanno influenzato la tua formazione culturale e letteraria?

R — Nella mia formazione culturale hanno avuto un peso considerevole le lezioni seguite presso la Facoltà di Magistero di Urbino sul simbolismo francese, sulla generazione spagnola del “98”.

Apertura che ha prodotto sollecitazioni sia intellettuali che linguistiche, richiami, appropriazioni, un impasto in cui nel tempo sono confluiti tutti gli aspetti culturali contemporanei a mio criterio emergenti.

 

D — Nella società del villaggio globale, della mutazione antropologica, della cultura postmoderna quali sono le tue idee sull’ipotetica civiltà del futuro?

R — Nell’attuale società comprensiva di tante particolarità sono accettabili tutte le esperienze, sempre che si operi in una dinamica coerente, responsabile, correttiva, non neutralizzata nel circuito del consumo. Il senso della provvisorietà, della frammentazione, il sedimento del momento storico che viviamo non permettono riscontri decifrabili. Non azzardo previsioni per il futuro.

 

                                                                          Paola Pepe