Articolo da Uomini e Libri, Periodico illustrato di critica e di informazione letteraria

Edizioni Effe Emme Milano , Ottobre 1968 numero 20 pagine 38/-39

 

I ricambi d Basilio Reale e Il Vantaggio privato di Anna Malfaiera

 

di Gilda Musa

 

 

Nel saggio Cultura e poesia italiana dopoguerra, (Cappelli), 1966, Giorgio Bàrberi Squarotti conferma il rifiuto di una concezione della poesia come autosufficienza di un mondo di valori e

come autonomia di consolazione e di effusione; chiarisce che « il significato di una poesia è nella quantità di realtà conosciuta e di coscienza rivelata che porta con sé » e che quindi « ciò che ci interessa, è sapere in che rappresenta i dati della situazione di questi anni ».

La citazione si presta a inquadrare qualche nota non inattuale sulla poesia di questi anni, e in particolare sulle due raccolte di Basilio Reale e di Anna Malfaiera. Entrambe le opere, I ricambi del Reale (Mondadori, Il Tornasole) e Il vantaggio privato della Malfaiera (Sciascia, Quaderni di Galleria) acquistano dimensioni appunto dalla quantità di realtà e di coscienza ricostituiscono e comunicano al lettore, conglobato anch’egli nello status: odierno.

Basilio Reale (siciliano, abita a Milano) prosegue con I ricambi la precedente esperienza poetica rappresentata da due libri: Forse il mare (Schwarz, e Le quotidiane abitudini (Rebellato, 1959). La prosegue nel senso che una stretta connessione stilistica e tematica aggancia i suo libri (soprattutto i due più recenti), li accomuna quali esperimenti d’una medesima matrice rnonocroma nella loro fine coerenza formale. La città moderna industriale (Milano), la giornata aziendale e di fabbrica con le sue otto ore, le abitudini quotidiane private e pubbliche, il condizionamento, le strutture sociali, il macchinismo, gli scarni ritagli di libertà che si strappano alla meccanizzazione e allo straniamento soltanto operando nel puro ambito individuale, e non altrove: questi gli elementi tematici che si ramificano, in derivazioni dirette e indirette, nella sostanza espressa da Basilio Reale. Si tratta di una sostanza che ci interessa, perché rappresenta dati della situazione di una realtà conosciuta dall’autore, e vissuta anche da altri, con adesione da alcuni, con riluttanza e con opposizione da altri. Su questa tematica tipica di una poeto sia che non evade, Basilio Reale ha operato usufruendo la sua stilizzazione caratteristica che consiste nell’ironia. Con mano leggera e segno sottile ed elegante, come si conviene a chi vuole delineare ironicamente oggetti e situazioni intrinsecamente contrastanti, Basilio Reale disegna sul fondo opacizzato della civiltà industriale inquieti stenogrammi della mitologia meccanica (la mitologia attuale) e vi sovrappone o vi accompagna, per ironizzare e per bisogno di opposizioni, l’antica mitologia dell’amicizia, della libertà, dell’arte.

« Ci sono già i ricambi, come / mani gambe / cuori di plastica arterie di nailon, / minuscole telecamere / capaci di rendere la vista, batterie collocate nello stomaco. //

Dopo mangiato siamo andati / con calma in giro e mia moglie / ha acquistato stampe / da regalare agli amici. » (XII, p. 22).

Il condizionamento ha soffocato, ma non strangolato, gli slanci, ma la necessitas non sopporta drammi per Basilio Reale che si è collocato volontariamente nella posizione di chi osserva: e osserva con intelligenza disincantata, come colui che ormai ha capito e riconosce quale traslucida facciata ricopra e mascheri l’autentica struttura architettonica della società in cui vive.

Da questa posizione di osservatore scaltrito discendono di conseguenza la smorzatura dei toni,

il ritmo intellettuale, l’icasticità stilizzata, cui si accompagna ovunque la presenza del protagonista autore-testimone, anch’essa tutta giocata sull’ironia, cioè sull’autoironia. 

« Non fosse per le quotidiane/ Abitudini: lavorare, dormire, desinare, / le cronache sportive il lunedì / la donna che richiede la sua parte /di te e che le appartiene per contratto / il viaggio che pensi di effettuare domenica a Cremona, / come potresti ora porre un limite / al tuo dubbio di esistere? (p. 62). -

 

La Malfaiera, testimone della realtà industriale come il Reale, abbraccia una formulazione di tumultuosa suggestione. In una poesia fortemente marcata, ideologicamente sostanziata, dalla moralità incisiva e la parola stilisticamente mossa e feroce, non c’è spazio per l’ironia, ma per il sarcasmo, la contemplazione si trasforma in dramma ed espiazione, la coscienza del ‘così è’ trapassa a contestazione, negazione. « Nel neutro dell’appartenenza come se fossi / contenta del gusto di quotidiane soluzioni / ... raggiungere altri a disagio come me / che parlano di sé per non essere esclusi» (XV, p. 49): una presenza compromessa della neutralità, nell’impersonalità dell’appartenere, volenti o nolenti, alle soluzioni quotidiane (che corrispondono, almeno in parte, alle ‘quotidiane abitudini’ del Reale).

Ma Anna Malfaiera non si stupisce più, appunto perché la consapevolezza si rivela totale, del modo volonteroso con cui l’uomo si inserisce tra gli oggetti della realtà « di conseguenza tecnologica »: l’affronto della situazione si attua sulla concretezza (consumo di massa, montatura pubblicitaria, anche subliminale), e investe sonoramente e visivamente fin dentro le pieghe psichiche, ma lascia irresoluti per qualche, una qualunque, azione significativa, « per qualcosa di cui non si risenta ».

« Non posso precisare / se mi castigo dirigendomi a caso / o se piuttosto mi è comodo accettare / l’aderenza al dato più casuale » (III, p. 29): in bilico fra senso di colpa e necessità di sopravvivenza il meno dolorosa possibile, il programma di una autonomia almeno da affermare si sgretola, e la condizione resta immutata e immutabile, procedendo con l’andamento del « dissociarsi chimico ».

Non si tratta soltanto di errore contingente, perché le mostruose complicazioni si integrano della vita stessa, « gli uomini sono irragionevoli deboli e vili » (X, p. 43) e « oggi sono tanti i pericoli/che nessun pericolo prevale » (IV, p. 56): e se la rabbia di qualcuno non si estingue, è questa l’unica certezza che la Malfaiera non detesta.

Contrappone agli orrori alla preordinazione, come pretesto sul piano puramente intellettuale di rivolta, « un luogo dove immaginare / che il resto della vita sia sorpresa » e tale, naturalmente, da rischiare di dovere « espatriare dalla terra » (V, 57). Invece, nella realtà inquadrata e prestabilita da forze altrui, la scrittrice si sente rabbiosamente perquisita, violentata, umiliata, ma perfino un caffè bevuto rappresenta un’azione che chiude in sé un significato, una complicità.

Opponendosi, pur consapevole dell’appartenenza e dell’implicazione personale, compie l’estremo atto di confessione e di autodifesa dichiarando in una protesta: « Che c’entro io - tra l’altro io nego / io affermo con troppa ansietà », « in fondo mi tolgo dalla rappresentanza di un disagio mistificato / lontana chilometri dai vani entusiasmi / dai getti d’acqua di fredde costatazioni / e lontana dal genere schifoso dei ruffiani » (XVI, p. 69). La stilizzazione raggiunge i suoi limiti di organizzazione e di interpretazione del mondo, e dell’individuo, in esso, che dichiara senza mezzi termini la propria volontà e la propria coscienza.

 

 

 

Basilio Reale, I RICAMBI, Mondadori, Milano, 1968, pag. 80, lire 800.

Anna Malfaiera, IL VANTAGGIO PRIVATO, Sciascia, 1967, pag. 72, lire 600.