Articolo di Giulia Niccolai

 

Anna Malfaiera

Verso l’imperfetto

Introduzione di Alfredo Giuliani

Tam Tam 37/B, L. 10.000

 

 

Le settanta poesie di Verso l’imperfetto di Anna Malfaiera sono suddivise in quattro sezioni prive di titolo ma contrassegnata da una semplice pagina bianca con asterisco e infatti si tratta di quattro momenti di continuum: riflessioni, osservazioni, ragionamenti su un’esperienza interiore, un lungo e meticoloso viaggio nel Sé, dunque un processo d’individuazione verso l’inconscio della vita psicologica cosciente. L’Io, come centro del campo della coscienza è qui solo lo scrivente, l’amanuense che assolve questa funzione in modo del tutto imparziale e distaccato, con la lucidità e l’esperienza di un medico che (in possesso ormai di tutti i dati necessari), dica la sua diagnosi.

Nella prima sezione l’Io ci presenta il Sé. Lo tocca con mano, ce lo racconta, ce ne descrive i tratti salienti, le sfaccettature (i difetti, i dubbi, il “comportamento”) ed è soprattutto il tono di questi primi componimenti (pacato, saggio, lievemente ironico- malinconico) che mi ha fatto pensare alla figura del “medico”.

Nella seconda sezione l’Io dialoga con il Sé. (Ma, non sarebbe più appropriato dire che il Sé dialoga con l’Io? ) Avendocelo già presentato e descritto, gli si fa più dappresso, gli si rivolge con familiarità, lo stuzzica e anche lo rimprovera e forse è proprio qui che, come scrive Giuliani nella sua introduzione: “ Nel cuore di questo libro il lettore incontrerà una sconfitta storia amorosa…”

In che senso può esserci una “sconfitta storia amorosa” tra l’Io e il Sé?

Posso azzardare una risposta solo formulando una seconda domanda: si può dire che la chiarezza della coscienza razionale, se non è temperata dal sentimento, uccide per eccessiva intensità?

 

(E a quale sentimento può sperare di attingere il Sé in un’epoca come questa?)

La terza sezione di questo lungo poema è per me la più tremenda e la più straordinaria. Se vogliamo considerare le precedenti come una specie di iniziazione in cui il subconscio venga prima evocato e plasmato per poi iniziare a dire la sua, a dialogare e a confrontarsi con la coscienza dello scrivente, qui ormai libero e integro, il Sé (riappropriatosi del Verbo), si rivolge anche agli altri scoprendosi, investito da Temi e da Nemesis, nel ruolo di giudice e di oracolo. Nel linguaggio freddo e tagliente da giudizio senza appello (un linguaggio che ricorda le frecce che centrano il bersaglio), non è difficile risentire il timbro di un furore biblico che ha del mitico e del grandioso. E il lettore, coinvolto, non potrà non sentirsi segnato a dito: “Siamo la polizia segreta, potete/ stare tranquilli non accade nulla che noi / non sappiamo se qualcuno afferma/ diversamente vuol dire che tenta la prova/ del bugiardo e questo vuol dire che dovremo / correggerlo e quando noi lo avremo fatto/ diremo che è uno di cui non ci occuperemo più.”

Dopo aver tessuto la sua tela geometrica e perfetta con un linguaggio astratto, paziente e costruttivo, ecco che è il linguaggio stesso che cattura e mostra la pochezza, la vulnerabilità delle sue vittime sventate…

E dopo che solitudine e sofferenza hanno dato sufficiente forza per quella liberazione, quello sfogo di vittoriose invettive di cui abbiamo appena detto, ecco che nella quarta sezione si tirano le somme del lungo cammino percorso, si ricomincia l’introspezione e come un mandala la macina ricomincia a girare.

 

 

Giulia Niccolai